Annamaria Ducaton, all'inizio della sua ricerca pittorica, si era cimentata con il linguaggio postcubista ed espressionista che le consentiva un eloquio razionale ed impegnato, visto che allora ella credeva all'arte come messaggio chiaramente intelleggibile a cospetto del quale tecnica e materia non erano che accidenti strumentali. In prosieguo di tempo una lunga ed impegnativa esperienza nel campo dell'arte applicata (specie la pittura su stoffa) le fece vedere quanto di inesplicabile e misterioso si celasse negli anfratti della materia e nella gestualità quasi rituale della manualità operativa. Di lì a rendersi conto degli aspetti onirici dell'inconscio, del fascino misterioso della "cantina dell'anima" con la sua segreta frescura di sogno, il passo fu breve.
Il linguaggio per esprimere tutto ciò Annamaria Ducaton lo desunse dal divisionismo, dal surrealismo, da Chagall, dal mistero della orientale pittura su stoffa, in una dimensione esotica di cui si possono appena indicare alcuni termini nell'arte cinese, indiana, tardo gotica, mesopotamica, egizia atipica alla Amenofis IV. Il soggetto più affascinante di tale passata esperienza pittorica della Ducaton era stato l'uccello esotico, fluente nella linea melodica e sensuosamente cantante nel colore come elemento vitalistico ed ottimistico da contrapporre allo sconvolgimento ecologico del mondo.
Sergio Molesi, 1977
Annamaria Ducaton è una delle pittrici più personali e originali che conosciamo. La forza istintiva ed irrazionale, la resa totale all'ispirazione più stordente, senz'ombra d'interventi logici o di schemi intellettuali, conferiscono alle sue tele accese e barbariche un sapore decisamente medianico. Il suo stile statico infatti, moresco, orientale, ornamentale, ricco di decorazioni arabescate (che possono ricordare Klimt: e con questo pittore la Ducaton ha in comune anche la giustapposizione ordita di campiture levigate a grumi preziosi ed elaborati come cammei o smaglianti gioielli esotici) l'avvicinava di più ai pittori dall'inizio naifs che ai surrealisti. Non a caso pertanto vi si avverte la presenza (probabilmente inconscia e dovuta ad affinità elettiva più che a diretto magistero) di Rousseau, di Chagall, di Ligabue, ma soprattutto di Séraphine Louis.
Valgano però questi nomi giusto per comodità critico-sinottica, per situare questa pittura originale e bruciante. Chè, di fatto, lo stile di Annamaria Ducaton sfugge a ogni etichettatura di comodo, come succede quasi sempre con gl'istintivi, quando il fuoco ispirativo (che rasenta la trance medianica) li spinge verso forme nuove o inusitate che non trovano rassicuranti equivalenze e corrispondenze nel bagaglio iconografico a nostra mnemonica disposizione.
Ennio Emili, 1977
L’energia naturale della pittura e quella della musica s’intrecciano e si esprimono all’unisono nelle opere di Annamaria Ducaton, artista triestina dal temperamento intenso ed impetuoso, ordinato ma libero di agire anche al di là della realtà. Passione e morte, dolore e gioia, atarassia e catarsi si miscelano nei suoi lavori realizzati a tempera su carta con raffinate intersezioni materiche e di luce, fatte di sabbie, polveri luminescenti, terre…
La malìa intensa e graffiante dei cieli e della terra, degli orizzonti, delle acque marine che bagnano la Spagna sono riassunti e reinterpretati con stile anticonvenzionale dalla Ducaton, che attraverso i tratti surreali e fantastici e l’inclinazione simbolica della sua pittura, sa rievocarne l’atmosfera, dandoci nel contempo testimonianza del suo stato d’animo.
Dice Annamaria della sua vita interiore: “Ho dentro di me la musica, che è alla base di tutta la mia pittura".
E come in una sinfonia contemporanea l’animo surrealista della pittrice guida il gesto verso l’incanto e il sogno, verso un mondo al di là dei confini noti, dove André Breton, che fu con il suo Manifesto, nella Parigi del ’24, il primo teorico di quel movimento (Surrealismo), ideava nello scritto intitolato “Nadià”, il personaggio femminile che quando cammina sulla neve non lascia traccia.
Alcune finezze linguistiche ingentiliscono e rafforzano la struttura compositiva dell’opera pittorica della Ducaton: sono le campiture materiche e i fili di luce che danno vita ai suoi “paesaggi intutivi”, con un decorativismo che trae menzione dalla poetica della Secessione viennese e in particolare dalla pittura di Gustav Klimt, ma soprattutto dal grande interesse dell’artista per le arti applicate: specialmente per l’arte tessile e l’artigianato artistico, nel cui ambito ha ideato progetti per l’industria del tessuto italiana ed estera, gioielli e ceramiche, oggetti di design realizzati anche a sbalzo, lavorando pure, con grande manualità, il legno ed altri materiali.
Marianna Accerboni, 2005
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Presenze
(dal ciclo "Das Lied von der Erde"
Gustav Mahler)
(1999) tecnica mista su tela
cm. 50x70
(ingrandibile)
Oscura è la vita, la morte
(dal ciclo "Das Lied von der Erde"
Gustav Mahler)
(1999) tecnica mista su tela
cm. 50x70
(ingrandibile)
Musica del cosmo
(dal ciclo
"Del Canto della Terra
e dell'Assoluto)
(2001) tecnica mista su carta
cm. 50x70
(ingrandibile)
Ondulazioni
(dal ciclo
"Del Canto della Terra
e dell'Assoluto)
(2001) tecnica mista su carta
cm. 50x70
(ingrandibile)
Universi
(dal ciclo "Das Lied von der Erde"
Gustav Mahler)
(1999) tecnica mista su tela
cm. 50x70
(ingrandibile)
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Il Museo della Comunità ebraica triestina "Carlo e Vera Wagner" è affollato di ombre. Chi ha occhi le vede. chi ha orecchi le sente. Un artista che vive in loro compagnia è Annamaria Ducaton. Strappata all'affetto paterno, è stata riconciliata alla vita, proprio dalle ombre che lei ha cercato e trovato nei luoghi della distanza spaziale e temporale. ... La pittura di Annamaria Ducaton dà sostanza alle gelide e trasparenti lastre del presente, sulle quali sono stati marcati, con dura precisione, i segni dei cinquant'anni trascorsi, dal "Diario" di Anne Frank ad oggi. L'agglutinata liquidità del colore e la ferma delimitazione grafica delle campiture risultano attributi necessari della polivalenza simbolica. La nostra appartenenza ad un presente, di mezzo secolo posteriore ai sentimenti quivi evocati, viene dichiarata da alcune pudiche alllusioni referenziali: il filo spinato, gli alberi spogli, le torri e le candele, le colombe...
E' un arte, questa, che dice tutto e niente di sè, nell'atto stesso in cui protegge l'altrui tenerezza, sguardi adolescenziali rivolti a costellazioni scomparse dal cielo di ieri, non più presenti nel buio cielo di oggi, solcato dai satelliti televisivi e dai missili delle stragi intercontinentali; e nell'atto in cui protegge l'altrui speranza: "Eppure quando guardo il Cielo penso che tutto questo si svolgerà nuovamente verso il meglio, che anche questa crudeltà avrà fine, che l'ordine mondiale conoscerà la pace e la tranquillità". Così sta scritto nel diario di Anne Frank.
Giulio Montenero, 1995
Annamaria Ducaton affida alla materia un valore spiriturale nella consapevolezza pragmatica che essa è il lessico comune che la vita usa per esprimersi. Guarda alla natura e inventa una materia pittorica facendola diventare cantatrice di quella poesia e di quella musica che sono l'eterna canzone dell'esistenza tutta. La terra, le sue concretezze geologiche, l'acqua, l'aria, il fiore, l'erba, il cielo divengono materia che canta, che trascorrendo sa farsi carne e sangue del mondo. Di effimero, par di comprendere guardando queste opere, potrebbe essere solo l'ombra umana che vi appare. Ma è proprio così? O le figure accennate e senza volto - ognuno di noi e tutti quelli che sono stati e che verranno o che han vissuto come noi amando, soffrendo, chiedendo perchè - son presenti per ricordarci che proprio nella sua effimera fragilità la creatura umana è ben più del bulbo che dorme nella terra attendendo le propizie condizioni chimiche e climatiche per fiorire, è il canto più alto possibile mai realizzato con la materia?
In queste opere la materia è poesia - un materico lirico - è il miracolo che pulsa di vita davanti all'algido silenzio del nulla. E' non si presenta nemmeno come caos informe ma nelle sue scabrosità, nelle sovrapposizioni sapienti, nelle ridondanze orientali e barocche, nei segni che la dividono e ordinano, rivendica autorevolmente un ruolo primordiale, un'armonia che richiede religiosa attenzione per essere percepita, un passaggio fondamentale del quale dovremmo sempre tener conto nel nostro vivere. Le opere scaturite da una simile esperienza - che è globale, che richiede al pittore di impastare col colore i suoi ricordi e i suoi sogni - non rientrano nel novero dell'esercizio artistico comunemente oggi inteso che mira molto più superficialmente a risultati pratici e falsamente oggettivi. Sono molto di più. Sono la mappa di un percorso capace di scendere fino alle soglie del nulla dove ci si può veramente perdere e di risalire; di calarsi nella terra, grembo meraviglioso, per rinascere portando con se i doni preziosissimi che danno al vivere quelle risposte di speranza che vanno oltre ogni intelligenza delle quali il mondo ha sempre avuto bisogno.
Claudio H. Martelli, 1997
Le mie impressioni sulle opere di Annamaria Ducaton, non sono quelle di un intenditore d’arte, ma soltanto di un individuo qualsiasi. Tuttalpiù di una persona che, per la lunga consuetudine di considerare e confrontare le varie forme con le quali la realtà interiore degli uomini viene espressa, può guardare con molto interesse questi quadri, per il fatto che in essi vengono tradotti in forme e colori, elementi spirituali, i quali sembrerebbero appartenere a campi differenti. Così si avvertono in questi, non soltanto sentimenti e situazioni esistenziali, ma anche suoni e musiche. Di fronte ad alcune opere, si ha proprio l’impressione di uno spartito musicale. Non la partitura di un singolo strumento, ma quella di un’orchestra intera. Però questa immagine non è neppure completamente esatta. Non sono scritture musicali, ma veramente musica. Non cioè l’indicazione dei suoni, ma i suoni medesimi. E viene voglia di cantare, per associarsi ai motivi offerti, paradossalmente attraverso la vista. Questo trattare visivamente qualsiasi impressione – non soltanto musicale e sonora, ma appartenente ad ogni specie di realtà spirituale ed interiore – può forse ritrovarsi in ogni opera artistica. Tuttavia, nei quadri della Ducaton, mi sembra esserci una particolare immediatezza espressiva di questo genere. Forse, quando ho detto che vien voglia di cantare, ho indicato nel modo più preciso il carattere di queste opere.
Cesare Musatti
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A sedici anni dal ciclo sulla “quinta” – la tormentosa e affascinante sinfonia “maledetta” – Annamaria Ducaton ritorna a Mahler. E’ un ritorno di fiamma e un’altra occasione “intrigante” per un’artista che ama il contatto interdisciplinare dei linguaggi, lo scenario storico e spirituale di un discorso articolato, di uno sviluppo nel tempo e nella memoria. L’evoluzione stilistica la sospinge verso un approdo naturale e restituisce la sua esperienza pittorica al sinfonismo mahleriano attraverso il “Lied von der Erde”.
Diventato prepotentemente attuale, il grandi Inattuale può esercitare i propri inquieti sortilegi. Che sulla sensibilità di un’artista “visionaria” come la Ducaton diventano stimolo irresistibile. Sicché prevedibile era, dopo l’Immaginario della “quinta”, questo ciclo dedicato al “Canto della terra”, vera e propria sinfonia-cantata in forma di “Liederkreis”, scritta fra il 1907 e il 1908 per due voci soliste e orchestra su antiche poesie cinesi tratte da “Il flauto cinese” nella traduzione tedesca di Hans Bethges. Ma l’orientalismo, nel capolavoro di Mahler, è solo la screziatura Jugendstil di una temperie ben più profonda: un riflesso esotico che sfiora soltanto la visione di Annamaria Ducaton. Il palpito d’infinito che fa la vera grandezza del “Canto” è la contemplazione della Vita – espressa dalla Natura in continuo rinnovamento – alle soglie della morte.
“E’ come se l’improvviso sapere della morte avesse dissolto tutta la solidità del mondo, lasciandolo nitidamente inciso di solchi sottili e chiari acquarelli”. Bastino queste considerazioni di Deryck Cooke (il musicologo inglese cui si deve la ricostruzione della decima sinfonia) come chiave di lettura, come passe-partout, per accostarci al “Canto” di Gustav Mahler e, insieme, al Cantico figurale di Annamaria Ducaton, in cui la terra – con quelle falde materiche e quelle tinte granulari e preziose intrise di luce sospesa nello spazio e nel tempo – è davvero protagonista di un paesaggio dell’Infinito. Su questo paesaggio cosmico si inoltra, con commossa sensibilità, l’ultima esplorazione della pittrice triestina: una sequenza conclusa (quasi alla ricerca di quel “punto all’infinito” indicato da Quirino Principe) dalla strepitosa immagine metafisica di un cielo che è terra – e – cielo insieme, dove la musica ha ali bianche e auree corde d’arpa eolia, e dove risuona e svanisce l’Eternamente mahleriano del congedo estremo.
Gianni Gori |
Quattro momenti, quattro temi sviscerati nel profondo, analizzati da punti di vista differenti e sviluppati seguendo direzioni, sensazioni, onde emotive diverse. Come nelle variazioni musicali quando, reinterpretando una melodia o una sequenza di accordi con arrangiamenti ulteriori, si provano tonalità successive, si scoprono nuove sfumature, si creano nuove atmosfere e nuove suggestioni. La musica è sicuramente l’anima della pittura di Annamaria Ducaton che prende forma attraverso linee, colori, piccoli granelli di sabbie colorate, dando luogo ad un universo di immagini totalizzanti, capaci di coinvolgere completamente chi guarda, unendo spirito e materia, pensiero e sentimento, reale e metafisico. In uno di questi quattro momenti l’anima musicale della pittura dell’artista è chiamata a manifestarsi palesemente: è il momento dedicato a Gustav Mahler, al suo Canto della Terra. Le opere ispirate a Mahler sanno essere opere di delicata bellezza e di dolente consapevolezza insieme; sono pitture che aspirano all’assoluto ma sono capaci di incanto nella rappresentazione della chioma di un albero, nella resa del respiro intenso della terra, di un leggero soffio di vento. Sono pitture spirituali e terrene contemporaneamente, come spirituale e terrena è la stessa musica mahleriana. Nel momento Il giardino del cuore pare invece prevalere il desiderio di cantare d’istinto la pura emozione, attraverso colori e linee concepiti liberamente, senza limiti né di spazio né di tempo. Alla forza della passione si unisce la nostalgia del ricordo, all’immagine del cuore si somma quella della torre che si innalza verso l’alto, partendo dalla terra per giungere fino al cielo. E al giardino si affida il compito di esprimere il mondo: un mondo che palpita e che sa trovare la gioia anche nel dolore, la bellezza anche nel tormento, la poesia nel senso più autentico dell’esistenza. Nel momento dedicato a Kafka le atmosfere surreali dello scrittore praghese paiono prestarsi perfettamente alla rilettura magico-realistica di Annamaria Ducaton che mette in scena il suo teatro dell’assurdo ponendolo sotto il riflettore dell’ironia. Con un linguaggio semplice e immediato, ma al tempo stesso preciso e pregnante come è la prosa e la lingua dello scrittore, la pittura disvela la dimensione ambigua e volutamente inespressa delle varie situazioni paradossali, spaventose o rovinose, dove angoscia e leggerezza paiono confondersi l’una con l’altra, per ripetersi all’infinito, ineluttabilmente. E infine, nuovamente, profondamente musicale è il momento dedicato ai Silenzi dove troviamo una pittura attentamente calibrata, quasi preziosamente distillata. Si tratta evidentemente, in questo caso, di una musicalità non più legata ai suoni, quanto invece suggerita dalle pause, ispirata da ritmiche scansioni melodiche e quiete modulazioni. Il concetto del silenzio viene talvolta significato da una goccia dorata che suggerisce l’idea di un’intima, raccolta concentrazione; di un attimo di sospensione del tempo che sa di eternità.
Franca Marri, 2013 |
Nell’arte di Annamaria Ducaton chiunque abbia occhi per udire, orecchie per vedere, cervello per toccare e gustare e aspirare, cinque sensi impazienti e pronti a costruire pure forme simboliche, avverte la presenza di una tensione fondamentale, tanto persistente che non ne cogliamo più neppure le vibrazioni. Questa tensione è più segreto che mistero, più attesa che segreto, più aspettativa di un compimento improvviso che non proseguimento di un piano. L’artefice lascia che la tigre immaginata da Borges (con tutta la sua simbologia seducente e aggressiva) la cerchi; non è lei a cercare la fiera, il fauve. Annamaria Ducaton è un’artista avvezza a nascondersi aristotelicamente dietro la propria opera, ma non può né vuole nascondere la relazione esclusiva, il legame di consanguineità che la unisce alla musica e al pensiero di Gustav Mahler. Con Mahler, ella ha celebrato anni or sono un incontro non premeditato, che il Destino, e non altri, le ha gettato incontro. Annamaria non è, nel suo rapporto con il compositore e forse non soltanto entro i confini e i contorni di tale rapporto, un artista dell’immagine, un “pittore” (per parlare in termini vulgati) che interpreti Mahler, così come Otto Runge interpretò Beethoven, Max Klinger interpretò Brahms, Mariano Fortuny e Paul Joukovskij interpretarono Wagner, Kandinskij interpretò Schönberg. Annamaria Ducaton è (o tende ad essere con approssimazione infinitesimale) una sorta di variante che parla ed agisce “come” Mahler nel linguaggio che un’altra arte, la sua, le offre. La traduzione in immagini di Das Lied von der Erde, con infiniti orizzonti illuminati d’azzurro (il colore della lontananza remotissima e ultima) è la chiave d’accesso a zone profonde, protette nell’anima dell’artista. Non sarebbe necessario essere musicisti e neppure conoscere il linguaggio della musica e le sue leggi e conquiste, se si volesse udire di primo acchito il “suono mahleriano” dell’arte di Annamaria: Le creste montane, accese da una sovreccitante e insieme trasfigurante fantasia cromatica, sono ad un tempo forme simboliche e visioni repentine e rivelatrici. Da Mahler, Annamaria Ducaton è stata, un tempo, salvata e convertita. A lui ella parla, e di lui sembra conoscere anche le ombre inconfessabili. In un romance brètone del XII secolo, sir Giovanni si arrampica con le mani inutilmente guantaie d’acciaio lungo due lame di spada affilata lunghe cento miglia: un crudele ponte che dovrebbe condurlo alla finestra della torre di un remoto castello, alla quale si affaccia un’enigmistica e calamitante dama. Invertendo i ruoli, Annamaria si avvicina a Mahler con dolore e con infinite piccole vittorie progressive. Ci conviene osservarla e seguirla.
Quirino Principe, 2006 |
Dopo “La donna del mare” ecco le “Fiabe di Luna” di Annamaria Ducaton. Una raccolta di racconti fantastici filtrati dalla luce lattea dell’astro notturno, comune denominatore che incombe, nel plenilunio o nel falcetto, misteriosa o solenne, remota o immediata, verde o rossa, nei dipinti che da domani figurano alla Sala Comunale d’Arte di Trieste. Perché la luna? Si chiede Annamaria Ducaton nel depliant di presentazione, e ne fornisce prontamente la risposta: perché la luna è donna, mistero e magia. E in queste tre parole è condensato tutto il senso della dolce divagazione tra esseri ibridi - donne farfalle o corolle, insetti antropomorfici, chiocciole anfibie dai lunghi occhi orientali - che s’accompagnano in molli paesaggi, più vicini a frammenti piuttosto che alla natura tettonica della terra. Allora le cattedrali carnose come cavità uterine o l’altalenare delle montagne gonfie come pendule mammelle diventano la cornice fiabesca e allusiva entro cui intessere l’inno alla luna, donna, madre, grembo pregno che vivifica il mondo, mistero della vita. L’effusione lirica, il gioco delle presenze polivalenti che sciamano nella notte sbiancata divengono anelito, nostalgia, memoria, bisogno della madre ma anche distacco, affondando nel tessuto esistenziale e nel rimorso personale. Queste ripropongono, nel loro organizzarsi, le cadenze logiche tipiche del sogno, così come hanno fatto i surrealisti da Max Ernst a Dalì. ma nel suo fervido eloquio visivo Annamaria Ducaton rimembra anche gli abbandoni musicali di sviluppi lineari, cari all’espressività liberty. E’ un recupero di modi e stilemi che appartengono alla storia, la cui riesumazione appare in linea con altre frequentazioni del passato, oggi praticate con insistenza nei sentieri dell’arte.
Maria Campitelli |